Gli italiani e lo smart working, luci e ombre del lavoro agile (Corriere della Sera, 20 dicembre 2020)

LO STUDIO

Gli italiani e lo smart working, luci e ombre del lavoro agile 

di Redazione Economia20 dic 2020

Gli italiani e lo smart working, luci e ombre del lavoro agile

Lo smart working e gli italiani, un rapporto fatto di luci e di ombre. Così potrebbe essere riassunto il sentiment con il quale gli italiani vivono il lavoro da remoto, che dalla prima fase della pandemia ha portato il numero di smart worker dai circa 570 mila del 2019 (dato Osservatorio Politecnico di Milano) agli attuali 4 milioni. Un rapporto fatto di luci e di ombre perché lo smart working sta facendo emergere una frattura sociale tra lavoratori che possono contare su maggiori garanzie e agevolazioni e lavoratori meno tutelati, mettendo in evidenza quelle disuguaglianze che il lavoro in sede, con i suoi benefit e servizi per il lavoratore, aveva in qualche modo contribuito a livellare. 

Se a una prima analisi dei dati emersi dallo studio condotto da Oricon con Euromedia Research lo smart working sembra piacere ai più con il 47,2% dei lavoratori intervistati che vede positivamente la possibilità di continuare a lavorare da remoto, il dato cambia sensibilmente quando l’analisi si sposta su un’ipotesi di futuro per sempre in smart working. Qui il 41% degli intervistati, di cui oltre il 40% donne e il 45% con figli, risponde negativamente, percentuale che sale fino al 68% quando a rispondere sono coloro che hanno già avuto modo, a cavallo tra le prime due ondate della pandemia, di tornare a lavorare in sede dopo un periodo a casa. Se si chiede al campione come sono riusciti a conciliare lavoro, casa e famiglia, sono gli uomini (62,4%) a rispondere in maniera positiva, mentre il 54,3% delle donne evidenzia importanti difficoltà nel conciliare vita professionale e famiglia.

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LO SMART WORKING E GLI ITALIANI

Tra i lavoratori intervistati che sono rientrati in sede dopo un periodo di smart working la percezione degli svantaggi del lavoro da remoto è nitida: il 30,2% riconosce difficoltà nel separare vita privata e lavoro, il 23,5% rileva un maggior carico di lavoro affrontato nelle giornate a casa senza limiti di orario. Il 22,8% sottolinea le difficoltà operative per la mancanza di una postazione di lavoro adeguatamente allestita e per problemi tecnici di connessione. Oltre il 20% si sente penalizzato dal fatto di non poter disporre di strumenti tecnologici e documenti utili per il proprio lavoro, il 16,7% riconosce un calo della concentrazione e il 20% degli stessi evidenzia difficoltà organizzative generali. 

Contrastanti anche i dati relativi al tema alimentazione. A fronte dell’82% degli intervistati convinti di aver dedicato, durante il primo lockdown, maggiore attenzione alla qualità del cibo consumato e ai pasti in famiglia, 1 lavoratore su 5 tra chi è tornato a lavorare in sede e che dispone di una mensa aziendale dichiara di essersi reso conto di aver fatto, da casa, pasti irregolari e quindi di aver preso coscienza, una volta tornato in sede, di un peggioramento generale della propria alimentazione durante la propria vita lavorativa da casa. Nel dettaglio, il 16,1% degli intervistati dichiara di aver mangiato di più stando a casa, il 68,6% di aver seguito un’alimentazione più disordinata, poco bilanciata, fatta di spuntini frequenti, dedicando anche minore tempo alla «pausa pranzo», spesso consumata in solitudine. È un dato trasversale che alla fine del primo lockdown un cittadino su 3 si sia ritrovato in sovrappeso. 

In linea di massima, chi è abituato a pranzare in mensa o fuori casa riconosce il valore di questo pasto sia da un punto di vista nutrizionale sia per l’ottimizzazione della propria produttività e la gestione dei tempi di lavoro. L’80% degli intervistati evidenzia infatti l’importanza di avere una mensa aziendale, percentuale che sale al 90% tra chi abitualmente ne dispone. Gli intervistati riconoscono alla mensa una funzione sociale fondamentale: non solo si consumano pasti in generale più completi ed equilibrati ma è anche un’occasione, dato rilevato dal 27% di coloro che preferiscono pranzare fuori casa e/o a lavoro, per socializzare con i colleghi, condividere pensieri, momenti di leggerezza e di confronto. Tutti aspetti che contribuiscono, nel complesso, a migliorare il clima aziendale e il benessere dei lavoratori.

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